Questa intervista fu una delle prime registrate con la band al completo, e venne trasmessa in due parti da Radio 1, il 24 e 26 Dicembre 1977. L’intervista venne inserita nel libro “40 Years of Queen”, poi ripubblicata nel 2014 come “The Teasures Of Queen”.

La prima edizione del libro uscito nel 2011 riportava erroneamente solo la prima metà dell’intervista (di lunghezza pari a 32:33), mentre le ristampe successive includevano la versione completa. Il programma vedeva la band interagire con il DJ Tom Browne, e vengono trasmessi 22 brani (3 estratti da “Queen”, 3 da “Queen II”, e 4 rispettivamente da “Sheer Heart Attack”, “A Night at the Opera”, “A Day at the Races” e “News of the World”), più “I Wanna Testify” di Roger, ed alcuni tra i brani preferiti della band, come ad esempio “I Heard It Through The Grapevine” di Marvin Gaye per John, “You've Got A Friend” di Aretha Franklin per Freddie, “Anyway, Anyhow, Anywhere” degli Who per Roger, e due brani per Brian, “House Burning Down” della The Jimi Hendrix Experience e “And Your Bird Can Sing” dei Beatles.

Nella maggior parte dei casi, la musica è stata pesantemente editata per far in modo di includere solo i primi e gli ultimi secondi di ogni canzone, ma la versione messa in onda includerà tutti, o quasi tutti, i brani per intero. 

Alcuni estratti di quest’intervista sono anche stati usati nel 2013 nel programma “Queen At The BBC” di Radio 2.

L’intervista è poi stata pubblicata integralmente nella versione Deluxe di Queen On Air.

Trascrizione tratta dal sito: Ultimantequeen.co.uk - Traduzione a cura di Barbara Mucci.

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[…Seven Seas Of Rhye…]

TOM: Salve a tutti, Radio 1 è orgogliosa di presentare, in due puntate, i membri dei Queen, qui con noi per parlare di sé stessi e la loro musica. I Queen si sono formati, nell’odierna composizione, nel febbraio 1971 e sono diventati uno dei gruppi rock di maggior successo al mondo, con ben sei grandi album in studio e dieci singoli di successo. Bene, lasciate che vi presenti i membri dei Queen, prima di tutti il cantante e pianista…

FREDDIE: Freddie Mercury.

TOM: Alla chitarra, arrangiamenti e testi…

BRIAN: Brian May, eccomi.

TOM: Alla batteria…

ROGER: …ed occasionalmente alla voce, Roger Taylor, eccomi.

TOM: Benvenuto, Roger. E al basso e tastiere…

JOHN: John Deacon.

TOM: Bene, allora insieme avete venduto oltre 40 milioni di dischi in tutto il mondo, è davvero straordinario. Ma prima di tutto, Freddie, dimmi: com’è cominciata?

FREDDIE: Ahh, molto brevemente, Brian e Roger erano in una band vivace e chiassosa chiamata Smile, mentre io ero in un’altra band, chiamata Wreckage, o qualcosa del genere.

ROGER: Voi eravate più vivaci, con un nome come Wreckage (macerie, NdT).

FREDDIE: Molto più che vivaci, ed eravamo anche amici. Cioè, andavamo al college insieme, uscivamo… e dopo un paio d’anni così abbiamo semplicemente deciso che avremmo dovuto formare una band. Abbiamo pensato che le nostre idee musicali si potessero fondere bene insieme, e poi abbiamo incontrato John, ed abbiamo deciso di chiamare la band Queen.

Roger, torniamo agli inizi del gruppo: tu e Freddie lavoravate, o meglio avevate una bancarella al Kensington Market.

ROGER: Ah, sì, eravamo soci in affari. Sì, era davvero solo un… era più che altro una sorta di centro sociale a quei tempi, credo, ai tempi in cui i Queen erano nella loro fase “informativa”: stavamo subendo tutto lo stress possibile nel tentativo di trovare qualcuno che ci facesse da manager, trovare una casa discografica, etc, insomma ci stavamo rompendo la schiena, abbiamo fatto alcuni demo, etc, grazie ad alcuni amici, e poi li abbiamo piazzati sul mercato, per cercare di garantirci, alla fine, una serie di compagnie diverse che potessero essere interessate. Abbiamo poi fatto un concerto, penso fosse al King’s College, da qualche parte a sud di Londra, ed un sacco di case discografiche hanno iniziato ad interessarsi a noi, e poi sostanzialmente abbiamo cominciato a stare attenti ai nostri interessi cercando di crearci delle buone situazioni in studio di registrazione.

Quanto tempo è passato dal momento in cui avete inciso i primi demo al momento in cui avete stipulato il primo contratto discografico?

ROGER: A me sono sembrati ottant’anni...

BRIAN: È passato molto tempo, circa due anni.

ROGER: Sì, all’incirca 18 mesi, due anni.

BRIAN: Eravamo molto frustrati all’inizio, le canzoni dell’album stavano diventando davvero vecchie, e la cosa ci ha messo in una posizione un po’ strana perché c'erano un sacco di… Noi eravamo uno dei gruppi che si presentavano già con uno show ed un’idea di produzione completa che però, nel momento in cui l’album è uscito ed in particolare da quando tutti l’hanno sentito (e ci è voluto tanto tempo per far funzionare le cose), suonava già vecchia, e la gente ci etichettava come la coda del “glitter rock” (rock con i lustrini, NdT), o qualcosa del genere.

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[…Modern Times Rock’n’Roll…]

ROGER: Abbiamo un rapporto un po’ acido con la stampa musicale, come viene chiamata in questo Paese…

Non amate particolarmente la stampa musicale, ho capito bene?

ROGER: No, ad essere proprio onesti, no (risate).

FREDDIE: Ma fin dall'inizio, per quanto riguarda la stampa musicale… voglio dire, a loro piace… persino adesso a loro piace etichettare le band, e noi ci siamo semplicemente ribellati. Noi volevamo fare ciò che pensavamo fosse giusto e non andare avanti con quello che loro ci imponevano, e quindi fin dall’inizio c'è sempre stato questo tipo di scontro tra noi e la stampa.

ROGER: Sì, hanno iniziato fin dal primo giorno con l'uscita del nostro primo album. A parte il fatto che prima della sua uscita effettiva, eravamo praticamente degli sconosciuti, e poi improvvisamente siamo stati, non dico particolarmente famosi, ma almeno abbastanza conosciuti, e a loro piace sempre pensare di essere migliori di te, o che l’avevano già previsto (Freddie: sì, è vero), e poi, tutto ad un tratto eccoci qua a suonare davanti ad un sacco di gente, e… questa cosa ha colto di sorpresa molte persone, credo.

Questo particolare stile che avete creato, è stato pensato così fin dall'inizio, o si è semplicemente evoluto col passare del tempo? 

BRIAN: Avevamo in testa determinati tipi di ideali, determinati schemi cui volevamo tener fede, e penso che, per dirla rozzamente, abbiamo iniziato la carriera pensando di voler essere una sorta di gruppo hard rock, ma con buone melodie, e con buone armonie, e le altre cose si sono sviluppate da questo. Il primo album è stato in realtà solo buttare giù quello che a quei tempi facevamo sul palco, ed era tutto molto veloce sia in studio che fuori, un sacco di grandi idee su cosa avremmo potuto fare in studio se fossimo stati lasciati liberi di sperimentare. Ma abbiamo conservato tutto questo per il secondo album, Queen II. Infatti, la gran parte di Queen II è stato scritto ai tempi del primo album.

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Bene, mettiamo su un po’ di musica da Queen I. Il primo brano che andremo ad ascoltare è stato in effetti il primo singolo estratto da Queen I, “Keep Yourself Alive”.

[…Keep Yourself Alive…]

Keep Yourself Alive”, il vostro primo singolo. Brian, siete rimasti delusi dal fatto che magari poteva andare meglio?

BRIAN: Oh, sì, sì, questa cosa mi riporta effettivamente indietro nel tempo… Erano gli inizi, avevamo fatto alcuni concerti da soli, alcuni piccoli concerti, e poi siamo andati in tour in supporto dei Mott The Hoople, ed abbiamo fatto il giro del Paese ricevendo una discreta risposta dal pubblico, e pensavamo: “Finalmente stiamo raggiungendo qualche risultato”, ma intanto tenevamo sotto controllo il singolo e l'album, ma questi non entravano in classifica, e mi sembrava un muro invalicabile. E pensavamo: “Cosa dobbiamo fare?”, non riuscivamo a far passare il singolo alla radio. Bhè, c'erano un paio di persone che lo passavano, tuttavia non ha ottenuto alcun tipo di risultato… Ma sappiamo tutti che gli inizi sono difficili: non hai esperienza, non hai una reputazione…

John, veniamo a te, ora, non abbiamo ancora sentito dire la tua. Hai una laurea in elettronica: questo vuol dire che il gruppo viene da te e ti chiede aiuto quando ha a che fare con parti complicate dell’attrezzatura?

JOHN: Bhè, non proprio. Di solito davo una mano i primi tempi, quando praticamente eravamo solo noi quattro e un altro ragazzo, il nostro roadie John Harris, che è con noi fin dall'inizio, e noi due ci davamo molto da fare i primi tempi, ma ora abbiamo una crew di una ventina di persone che pensa a tutto.

Stare in uno studio a 32 tracce, con tutta questa attrezzatura futuristica in giro… ti resta difficile non mettere le mani su tutti quei bottoni e chiedere: “Cos’è questo, cos’è quello?”.

JOHN: Bhè, tutti noi cerchiamo di imparare quello che lo studio può offrire, ci è utile per ottenere suoni e idee diverse, e fare ciò vogliamo. Tutti quanti ci interessiamo a ciò che è possibile fare tecnicamente in uno studio, perché penso che se un musicista non ne capisce niente, allora questo è un limite alle idee che si possono realmente mettere su nastro.

Suonavi il basso già insieme a Roger?

JOHN: No, no, ero venuto a Londra per studiare, e per un paio d’anni e non ho suonato affatto. Ho suonato prima di andare all’università, in gruppi scolastici e cose così. Poi ho smesso quando sono venuto a Londra, e dopo un paio d’anni mi sono imbattuto in, credo, Roger e Brian, da qualche parte, è così? (Roger: sì, sì) In giro avevo sentito (dato che frequentavamo college diversi seppur nella stessa zona di Londra), avevo sentito che stavano cercando un bassista, così dissi loro che ero interessato e mi presentai per un’audizione. È successo così. Eravate insieme già da 6 mesi, vero?

ROGER: In verità, credo da molto di più.

JOHN: Sì.

ROGER: Ah, tu intendi come Queen! I Queen (John: come Queen, sì, con il nome Queen), diciamo che selezionavamo 3 bassisti a settimana a quei tempi, e poi alla fine abbiamo trovato John.

JOHN: Sì, ed io sembravo adattarmi abbastanza bene, e quindi…

Hai accettato subito il tipo di musica che gli altri volevano suonare?

JOHN: Bhè, non saprei… Voglio dire, loro erano una band già formata, per me loro avevano già in mente tutte le idee che volevano portare avanti in campo musicale, ed io diciamo che mi sono adattato, in quel periodo.

BRIAN: È molto modesto.

JOHN: Bhè, la mia evoluzione è venuta dopo, ci ho messo qualche anno per ambientarmi.

Ok, John, quale brano vorresti sentire, adesso?

JOHN: Ho scelto un pezzo di Marvin Gaye, “Heard It Throught the Grapevine”. Adoro la musica Motown, perchè i bassisti, alcuni dei bassisti sono dei grandi (Roger: come Stanley Clarke), ed è una canzone che crea atmosfera.

Ed allora eccola qui, Marvin Gaye con “Heard It Throught the Grapevine”.

[…“Heard It Throught the Grapevine”…]

John, tu sei un padre di famiglia, non è vero?

JOHN: Sì, è corretto, ho un figlio piccolo.

 Ed è difficile per te andare in tour in America ed essere lontano da casa?

JOHN: Può essere stressante, cerco di far funzionare entrambe le cose. Può essere complicato, ma ci provo.

E tuo figlio come reagisce al fatto che il suo papà è una star?

JOHN: Bhè, non lo so, non parla ancora (risate).

E come pensi che reagirà?

JOHN: Mmm, non lo so, staremo a vedere. In verità ha appena iniziato a parlare, quindi scoprirò presto cosa ne pensa.

ROGER: John è anche l’imprenditore del gruppo.

Lui è l’imprenditore del gruppo?

JOHN: Bhè, sì, tendo a dare una controllata alle carte…

Quindi tu esamini i contratti, verifichi i rendimenti e…

JOHN: Bhè, è interessante, specialmente quando arrivi ad un certo livello, come noi… è interessante essere a conoscenza di come procedono le cose.

Brian, tu hai una laurea in fisica che poi si è trasformata in un dottorato in astronomia.

BRIAN: Sì.

Cosa ti ha attratto dell’astronomia?

BRIAN: È qualcosa che mi ha sempre interessato. Da bambino guardavo le stelle ed ho anche costruito un telescopio. Era una cosa cui pensavo di voler dare una chance, se mai avessi avuto la possibilità di diventare un astronomo, così ho preso una laurea in fisica. E poi, quando sei a scuola, non sai davvero cosa vuoi fare, e quando finisci la scuola sei portato a fare ciò che ti riesce meglio, e se capita di essere bravo in fisica allora tutti ti dicono di fare fisica, e così ho fatto, ed è stata una buona cosa intraprendere questa strada. Poi ho fatto qualche ricerca dopo la laurea, ma a quei tempi il gruppo aveva iniziato a decollare, ed occupava sempre più tempo, quindi è diventato impossibile per me portare avanti gli studi.

Ma la tua tesi di dottorato è già praticamente tutta scritta, no?

BRIAN: Sì, lo è, ci ho messo parecchio tempo a scriverla. Nel frattempo, ho anche insegnato in una scuola media per raggranellare qualche soldo. Mi manca l’ultima parte, e mi chiedo seriamente se mai la finirò… che vergogna.

Qual è l’argomento?

BRIAN: La polvere interplanetaria, ehm… il moto della polvere tra noi e il Sole.

FREDDIE: Molto cosmico…

Cosmico, sì… Ce n’è tanta? Di polvere, ce n’è tanta?

BRIAN: Sì, sorprendentemente ce n’è un mucchio, ed in effetti la puoi anche vedere, se sei nel posto giusto al momento giusto. Con un cielo perfettamente terso, o perfettamente scuro, puoi essere in grado di vedere la polvere (Freddie: digli della luce zodiacale). Viene chiamata luce zodiacale (Freddie: ecco, ci siamo, ci sei arrivato), una sorta di bagliore lattiginoso, che assomiglia alla Via Lattea, ma è un cono di luce che si estende con il sole come centro.

 

BRIAN: Oh, sì, sono andato a Tenerife… bhè, sono andato prima in Italia, sulle Alpi, abbiamo un osservatorio lì, ma siamo stati tormentati dal cattivo tempo, e siamo andati a Tenerife. Abbiamo messo su un osservatorio a Tenerife, abbiamo approntato un rifugio che potesse ospitare… bhè, non un telescopio, ma uno spettroscopio, che è ciò che ho usato.

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E da dove hai fatto queste osservazioni? Ho sempre pensato che il cielo notturno di Londra fosse un po’ torbido.

Ok, mettiamo su un po’ di musica, adesso. Sta per arrivare “Seven Seas of Rhye”.

[…“Seven Seas of Rhye”…]

“I do like to be besides the seaside”… bhè, questo è stato il singolo che vi ha fatti sfondare, “Seven Seas of Rhye”, è iniziato tutto da lì. Roger, perché c’è un pezzettino di “Seven Seas of Rhye” in Queen I, e poi viene ripetuto in Queen II?

ROGER: Bhè, Freddie aveva già scritto a metà la canzone, ed abbiamo pensato che fosse una chiusura simpatica per il primo album, perché poi avevamo avuto l’idea di far cominciare il secondo album con la stessa canzone.

FREDDIE: Con la canzone finita.

ROGER: Con la canzone finita, sì. Quindi sarebbe stata una sorta di continuum, infatti abbiamo chiuso il secondo album con questa canzone. L’abbiamo un po’ modificata, e l’abbiamo fatta uscire come singolo, perché pensavamo fosse piuttosto forte.

Freddie, in quanto autore del testo, quale significato hanno le parole della canzone?

FREDDIE: Oh, mio dio, non dovresti mai farmi queste domande! I miei testi… bhè, io li lascio alla libera interpretazione delle persone. Credo comunque di essermi dimenticato di cosa parla…

Quali sono i “Seven Seas of Rhye” (i sette mari di Rhye, NdT)?

FREDDIE: È un qualcosa di fittizio. So che sembra la via più facile per evitare la questione, ma è proprio questo: è solo il frutto della tua immaginazione.

Hai un approccio piuttosto surrealista, è il termine giusto per definire i tuoi testi?

FREDDIE: Un approccio fantasioso, sì.

Fantasioso, sì, ma io intendevo…

FREDDIE: Una facile via d’uscita.

Ma c’è un…

FREDDIE: Una definizione che riesce a coprire una vasta area, anche se in realtà dipende dal tipo di canzone. Credo che… a quei tempi stavo imparando un sacco di cose sulla struttura delle canzoni e, per quanto riguarda i testi, che per me sono molto difficili, li considero un impegno piuttosto gravoso. Il mio punto di forza è la melodia: mi concentro prima sulla melodia, e sulla struttura della canzone. I testi vengono dopo.

Sei stato influenzato da Salvador Dalì?

FREDDIE: Non proprio… certo, lo ammiro, ma non prendo cose come la pittura troppo alla lettera. L’unica volta che l’ho fatto è stato per una canzone intitolata “Fairy Feller’s Masterstroke”, per la quale sono stato profondamente ispirato da un quadro di Richard Dadd esposto alla Tate Gallery. Ho fatto molte ricerche, e queste mi hanno dato l’ispirazione per scrivere una canzone su quel quadro, descrivendo ciò che pensavo di vedervi dentro.

E cosa hai scoperto sul quadro durante le tue ricerche?

FREDDIE: Bhè, l’ho fatto solo perché ho frequentato un college d’arte, e perché mi piaceva quell’artista e quel quadro, ed ho pensato che potevo scriverci una canzone.

Bene, mettiamo su proprio questa canzone adesso.

ROGER: Si trova in Queen II…

[…“The Fairy Feller’s Masterstroke”…]

ROGER: È stata una dei nostri primi grandi esperimenti in stereo, credo.

 Come decidete quali canzoni devono finire su un album? Perché scrivete tutti, no?

ROGER: Sì.

FREDDIE: Litighiamo…

ROGER: Ahah sì…

BRIAN: Discutiamo…

ROGER: Anche.

FREDDIE: Noi scriviamo singolarmente, voglio dire ognuno per conto nostro, ad esempio quando un tour è finito. Poi può capitare un momento di difficoltà, dove ci riuniamo e facciamo sentire agli altri le nuove canzoni, e poi ciò che accade è una specie di… un processo di scrematura, in cui scegliamo le canzoni.

ROGER: Tipo: “Non esiste, non suonerò mai quella canzone” oppure “scordatelo!”…

FREDDIE: Cose così… Diciamo che non lavoriamo sulla singola canzone, ma su come possa suonare insieme alle altre, fondamentalmente lavoriamo avendo in mente l’album completo.

ROGER: Sì, in passato abbiamo provato a garantire una certa varietà di canzoni in ogni album, molti elementi contrastanti, quindi abbiamo sempre cercato di avere più materiale possibile.

Ok, ora sentiamo un po’ del lato heavy della vostra musica: “The March of the Black Queen” da Queen II.

[…“The March of the Black Queen”…]

Questa era “The March of the Black Queen” da Queen II. Brian, stavi per dire qualcosa sui Queen.

BRIAN: Pensavo solo che è stata una bella idea suonare questa canzone, perché Queen II è un album che in qualche modo ha posto le fondamenta per tutto ciò che è successo dopo, e se la gente non l’ha mai sentita prima, potrebbe anche pensare che si tratti di una canzone tratta dal nuovo album, davvero, suona ancora fresca alle mie orecchie, e ci sono tante cose da ascoltare, tutto il lavoro sulla struttura, le armonie intricate, le armonie alla chitarra, etc… è una specie di precursore a Bohemian Rhapsody. Quindi penso sia un album davvero importante per noi, ed è anche stato il primo ad entrare in classifica.

 Quanto tempo ci avete messo a registrare “The March of the Black Queen”.

FREDDIE: Un bel po’…

ROGER: Tanto che il nastro è diventato trasparente.

FREDDIE: Quelli erano i giorni degli studi a sedici piste (Roger: sì, sedici piste), mentre ora abbiamo studi a ventiquattro e trentadue piste, ma noi abbiamo fatto così tante sovraincisioni su nastri a sedici piste che è proprio come ha detto Roger: il nastro è diventato trasparente, perché semplicemente non poteva più ricevere incisioni. Credo che si sia pure rotto in un paio di punti.

ROGER: Abbiamo fatto così tante sovraincisioni che l’ossido è completamente svanito (ride)

BRIAN: È stato un grande passo per noi, a quei tempi, perché nessuno faceva cose del genere.

ROGER: Infatti, quando il disco è uscito, stavamo affrontando il nostro primo tour da headliners, dopo esser stati la band di supporto dei Mott The Hoople. Abbiamo acquisito grande esperienza live ed un grande seguito, considerato che eravamo una band relativamente nuova.

Poi, Roger, avete continuato a fare da supporto ai Mott The Hoople negli Stati Uniti, giusto?

ROGER: Sì, sembrava la cosa più logica da fare perché le cose avevano funzionato davvero bene, e andavamo tutti molto d’accordo a livello personale, e sai, non sempre questo accede durante un tour. È sempre un bene se le band che sono in tour insieme vadano anche d’accordo, e quindi abbiamo fatto la cosa più logica e siamo andati in America con loro ed abbiamo imparato molto da loro, sono davvero un’ottima band dal vivo.

BRIAN: Un’eccellente live band, sì.

ROGER: Abbiamo fatto un buon tour in America, fino a che Brian non ha contratto l’epatite ed è collassato, e siamo quindi tornati a casa. A quel punto la situazione sembrava alquanto nera.

Bhè, però avete fatto qualcosa di straordinario, facendo da supporters una volta in Inghilterra ed una volta negli Stati Uniti, e poi avendo un vostro tour da headliner in Inghilterra ed uno in America.

ROGER: È qualcosa che accadeva raramente, perché abbiamo suonato al Rainbow da soli…

FREDDIE: Correvamo davvero molti rischi, e spesso ne è valsa la pena.

ROGER: Sì, molto spesso.

Negli Stati Uniti, avevate un manager americano?

ROGER: Bhè, ne avevamo già assunto uno, e la cosa ci ha aiutato quando siamo andati in America. Venne assunto dalla Trident, che è la società con cui eravamo sotto contratto allora, e ci ha aiutati molto in America, essendo uno yankee (risate). Viene dalla California.

FREDDIE: Fondamentalmente, credo che firmammo ogni tipo di contratto: contratti discografici, accordi di pubblicazione… quindi, in effetti, eravamo sotto contratto da parte della Trident, e poi arrivò Jack Nelson, che è la persona di cui stiamo parlando, che si è occupato del lato manageriale. Lui è venuto dopo.

BRIAN: Per rendere le cose un po’ più chiare, quando arrivò il momento di firmare contratti discografici, c'erano un paio di case discografiche che erano interessate, ma invece di fare questo, abbiamo firmato con una società di produzione, e l’accordo è che tu registri per loro, e poi loro stipulano un contratto con la casa discografica. Quindi era come avere una specie di intermediario, e la Trident era questo intermediario.

ROGER: All’inizio sembrava una buona idea perché una compagnia affermata, una compagnia potente ed affermata, sembrava più adatta a contrattare con le potenti case discografiche rispetto a (Brian: umili musicisti) degli umili musicisti.

FREDDIE: Musicisti da 20 sterline a settimana.

BRIAN: C'è un enorme inconveniente di base nel fatto che il tuo manager è la tua casa discografica: non hai nessuno che ti può rappresentare nei confronti della casa discografica. Quindi ti ritrovi in una situazione impossibile in cui fondamentalmente è la band contro tutti, e questo genera attrito in ogni campo.

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TOM: Wagner incontra i Beach Boys… parlando di Cecile B. DeMille, veniamo ora al vostro colossale impianto scenico (Freddie: oh sì, ed ai nostri bellissimi costumi), con corone dappertutto, tuoni e lampi per tutto il palco, e tu che saltelli tipo “portiamo il balletto alle masse”, cito testualmente.

FREDDIE: Oh, se ti riferisci ad un certo articolo di giornale, devo dirti che è stato fatto tutto con ironia, ma che è qualcosa che mi interessa, in questo momento, e sto solo cercando di incorporarlo nello spettacolo, niente di più davvero, e fondamentalmente è anche per migliorare la musica che suoniamo, e… voglio dire, se non funzionasse, allora non lo farei, ed è anche una fase che sto attraversando, e mi piace il costume di Nijinsky.

ROGER: Le persone che vengono agli spettacoli sembrano davvero divertirsi, perché bisogna sempre puntare ad ottenere il massimo effetto, cosa che noi facciamo, intendo sia acusticamente che visivamente, ma alcune persone sembrano non apprezzare, i cosiddetti puristi, e pensano che sia un rock techno-flash o roba del genere, ma in fondo noi cerchiamo solo di trasmettere la musica e l'aspetto visivo nel modo più efficace possibile a quante più persone possibile.

TOM: Vi portate dietro il vostro impianto luci ovunque andate?

ROGER: Sì.

TOM: Quindi, quello che avete usato ad Earls’ Court è lo stesso che avete usato in America?

ROGER: Bhè, sì, deve essere così, perché la coordinazione richiesta è qualcosa di incredibile…

BRIAN: Sì, stessa cosa per l’allestimento sonoro. Fin dagli inizi, abbiamo sempre avuto queste grandi idee, ed abbiamo sempre voluto che i nostri show fossero delle esperienze sia visive che uditive, un qualcosa in cui puoi completamente perderti. Penso sia una cosa che ci portiamo dentro da quando eravamo ragazzi: se andavamo a vedere una rock band, volevamo essere messi completamente al tappeto, sbalorditi (Roger: sì, storditi). Ed è per questo motivo che vogliamo che ogni volta che suoniamo sia un vero e proprio evento.

ROGER: La gente paga per venire a vederti, e quindi…

FREDDIE: Per quanto ci riguarda, noi mettiamo su uno spettacolo, che non è semplicemente un’altra versione dell’album. Potremmo farlo, ma se fosse questo il caso, potremmo semplicemente posizionare sul palco delle sagome di noi stessi e mettere in playback l’album attraverso gli altoparlanti.

BRIAN: Sì, infatti.

TOM: Sì, giusto. Mettiamo un po’ di musica, adesso. Il prossimo estratto da “Sheer Heart Attack” è “Now I’m Here”.

ROGER: Chiamala musica…

[…“Now I’m Here”…]

TOM: “Now I’m Here”, che ha raggiunto la posizione 11 nel Febbraio ‘75. Trovate che un singolo vi aiuti ad aumentare le vendite di un album?

ROGER: Assolutamente. È ciò che ti fa conoscere dalla gente. Anche se loro non lo comprano, anche se a loro non piace, ti conoscono comunque grazie al singolo, mentre penso che puoi benissimo avere un album al primo posto in classifica per 6 mesi e la gente neanche sa chi sei. Noi non incidiamo mai qualcosa pensandolo espressamente come singolo, ma è sempre una canzone che viene estratta dall’album, e che pensiamo possa essere un buon singolo dopo che l’abbiamo incisa.

TOM: Capisco. Allora voi non andate in studio con l’idea di incidere un singolo.

ROGER: No, mai, non lo facciamo mai.

TOM: Accettate consigli da altre persone su quale potrebbe essere un buon singolo?

ROGER: No.

FREDDIE: Mai.

BRIAN: Prossima domanda…

ROGER: Non funzionerebbe…

BRIAN: Nessuno voleva che “Bohemian Rhapsody” uscisse come singolo (Tom: davvero?!), tutti ci dicevano che nessuno l’avrebbe passata in radio perché era troppo lunga…

ROGER: Nessuno tranne noi voleva che uscisse.

FREDDIE: Questo non vuol dire che abbiamo sempre ragione, perché non è così (Roger: non abbiamo sempre ragione, a volte abbiamo sbagliato) la scelta del singolo è (John: sì, una volta) (risate) una cosa delicata, non hai la certezza… per dire, qualcosa come “Bohemian Rhapsody”, quello è stato un bel rischio, ma ha funzionato, perché credo che una canzone come quella poteva essere un enorme successo o rivelarsi un flop tremendo.

BRIAN: Ma non è stato tutto rose e fiori, né un viaggio di piacere…

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TOM: Ok, ora arriviamo al vostro terzo album, “Sheer Heart Attack”, ed a quel grande successo che ha raggiunto la seconda posizione nel Novembre del 74: “Killer Queen”.

[…”Killer Queen”…]

TOM: È vero che parla di una deliziosa signora di vostra conoscenza?

FREDDIE: No, no, anche questo è un personaggio fittizio.

TOM: Il testo è bellissimo, strofe come “Dynamite with a laser beam, guaranteed to blow your mind”, “gunpowder, gelatine” (dinamite a raggi laser, ti sconvolgerà, è garantitopolvere da sparo, gelatina, NdT), voglio dire, roba davvero meravigliosa. Ma così non abbiamo alcun indizio su questo (risate) tipo di società…

FREDDIE: Credo che se mi dovessi mettere ad analizzare ogni verso, sarebbe estremamente noioso per chi ascolta, e manderebbe in frantumi quell’aura di mistero (Tom: oh, sicuramente), piuttosto me lo tengo per me.

TOM: È una canzone che comunque ti rimane impressa, quindi è evidente che siete una band scrupolosa e metodica, voglio dire, siete dei perfezionisti.

ROGER: Mio Dio, suona davvero noioso, non è vero…?

TOM: No, ma voglio dire… è da ammirare il fatto che vi occupiate di ogni aspetto della produzione, e non solo della musica, ma fino all’ultimo dettaglio, come stavamo dicendo anche prima…

BRIAN: Abbiamo sempre pensato che fosse un elemento essenziale l’essere coinvolti non solo nella produzione, ma in ogni dettaglio.

ROGER: L’abbiamo imparato grazie ad una dura gavetta…

BRIAN: Sì… voglio dire, occuparci persino della copertina, di come si adatta all’album, che è fondamentale, fino al modo in cui un tour viene approntato… insomma, tutto, vogliamo avere il controllo su tutto, e non è facile.

ROGER: Questo perché girano molti soldi, di questi tempi… bhè, è brutto parlare di soldi, ma la gente è furba e niente corrompe di più di una bella mazzetta sostanziosa… e quindi, dobbiamo stare molto attenti.

TOM: Ok, mettiamo su un altro pezzo da “Sheer Heart Attack”, questa è “Bring Back That Leroy Brown”. 

[…“Bring Back That Leroy Brown”…]

TOM: “Bring Back That Leroy Brown”, con l’ukulele suonato da Brian May. Brian, come descriveresti il tipo di musica di questo ukulele? Da barbiere, alla George Formby, o che altro…?

BRIAN: Diciamo che l’ukulele è un accessorio qui, perché questa è una canzone di Freddie, ma ha questa atmosfera così Vaudeville, che ho pensato che l’ukulele ci sarebbe stato bene, ed abbiamo fatto in modo che funzionasse costruendo questo piccolo assolo (risate).

TOM: Tu infatti hai imparato a suonare su un ukulele, giusto?

BRIAN: Sì, è stato il primo strumento che ho suonato. Mio padre aveva un George Formby originale. George Formby è stato il creatore di quel particolare stile che è ritmico e melodico allo stesso tempo, perché suona lungo le corde superiori ed inferiori per creare piccole melodie e… bhè, io sono un imitatore abbastanza scarso di questo stile, ma mi piace moltissimo (Roger: e la cosa ti rode, eh?). Oh, scusate… (Roger: umiltà).

TOM: E sono sicuro che tuo padre è stato fondamentale anche nella costruzione della tua prima chitarra.

BRIAN: Sì, mio padre ed io abbiamo costruito la chitarra insieme, che è ancora quella che uso adesso.

TOM: Di che cosa è fatta?

BRIAN: Di pezzi di legno ed altre mille cosette… è costata all’incirca 8 sterline, all’inizio.

TOM: Ho letto in una biografia per la stampa, o qualcosa del genere, che è stata ricavata da una poltrona o da un camino.

BRIAN: Un camino di cent’anni, il leggendario camino (ride), sì è vero (Freddie: le cose che vengono fuori da quel camino sono sbalorditive). Il manico è stato ricavato da un vecchio camino, sì.

TOM: Mio dio, tuo padre deve essere proprio un bravo artigiano.

BRIAN: Bhè, ci abbiamo lavorato su per un paio d’anni perché andavo ancora a scuola, e potevo dedicarmici solo la sera e nei weekend,

TOM: Ed è ancora quella che suoni adesso?

BRIAN: Sì.

TOM: Strabiliante… varrà una fortuna negli anni a venire.

BRIAN: Mah, non saprei, diciamo che ha valore solo per me, perché tutti dicono che è difficile da suonare.

TOM: Veniamo ora al vostro produttore, Roy Thomas Baker.

ROGER: Ha prodotto metà del primo album, e poi è diventato il nostro produttore a tutti gli effetti. “A Night at the Opera” è stato l’ultimo, l’abbiamo co-prodotto insieme a lui.

TOM: Freddie, l’avete scelto voi o è stata la EMI a fornirvelo?

JOHN: Bhè, è stato attraverso la Trident, in realtà (Brian: tutto passava per la Trident…!). I primi tempi, con il primo album, ci avevano appioppato anche John Anthony, con il quale però non andavamo molto d’accordo, quindi gli abbiamo dato il benservito dopo un album ed abbiamo fatto il secondo con Roy e Robin Cable.

ROGER: Sì, la Trident era quasi una Mecca per tutti i produttori, a quei tempi. La roba di maggior successo di Bowie è stata registrata con Ken Scott, ad esempio.

TOM: Ascoltiamo un altro brano da “Sheer Heart Attack”, questa è “In the Lap of the Gods”.

[…“In the Lap of the Gods”…]

TOM: “In the Lap of the Gods”… I Beach Boys incontrano Wagner, o qualcosa del genere… Freddie, questa canzone è una specie di anticipazione di “Bohemian Rhapsody”? Ha il suo stesso sentore operistico?

FREDDIE: Suppongo di sì, messa in questi termini. È stato come imparare a… con “Sheer Heart Attack” sperimentavamo cose che poi sarebbero finite, o che sarebbero state usate, negli album successivi. E canzoni come questa… sì, suppongo che elaborare il tipo di armonie, e quel particolare tipo di struttura mi abbia aiutato a creare qualcosa come “Bohemian Rhapsody”. Qualcuno dice che è come se Cecile B. DeMille incontrasse Walt Dysney, che è molto più corretto che dire i Beach Boys.

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TOM: Parlavamo di “Bohemian Rhapsody”, ed ecco a voi “Bohemian Rhapsody”.

[…”Bohemian Rhapsody”…]

TOM: Bohemian Rhapsody, è una canzone fantastica, per me, perché si discosta da qualunque cosa comparsa nelle classifiche del 1975, e a Novembre ha raggiunto la prima posizione, e ci è rimasta per 9 settimane, giusto? (Roger: sì, più o meno) Davvero un sacco tempo, ed è una canzone favolosa. Freddie, puoi raccontarci come hai registrato Bohemian Rhapsody, il lato più tecnico?

FREDDIE: Vuoi che ti sveli qualche segreto, eh? È stata un’impresa immane, perché è stata costruita in tre sezioni distinte e poi messe insieme. Ognuna di esse ha richiesto molta concentrazione, la sezione opera, al centro, è stata la più faticosa, abbiamo voluto ricreare un’enorme sezione armonico-operistica, ma solo noi tre, e la cosa ha richiesto un gran numero di multi-tracking, e tra noi tre abbiamo ricreato, penso, un coro di 160-200 elementi (Roger: qualcosa di simile, sì), ma in verità siamo solo Brian, Roger ed io che cantiamo.

ROGER: Nella canzone è presente un’eccezionale gamma di armonie, e ciò ha comportato rifarle ancora e ancora e ancora, per ottenere un suono sempre più grande e possente.

TOM: Più o meno quante volte avete dovuto farlo per ottenere quel numero di elementi nel coro?

ROGER: Bhè, dividi 200 per 3 (risate), qualcosa del genere…

TOM: …66.

BRIAN: E questo per ogni piccola parte, quindi se fai il calcolo…

ROGER: Ogni singola parte però deve essere fatta molte volte, e tu devi imparare tutte le diverse parti, perché penso che alcune di loro erano… quante parti armoniche erano?

FREDDIE: C’è una sezione di “no, no, no” e dovevamo farla sempre più in crescendo, allora ci siamo seduti e (canta) “no, no, no, no, no, no, no” per qualcosa come 150 volte (Brian: siamo letteralmente impazziti…).

TOM: C’è stato qualcuno di voi che, di tanto in tanto, se ne usciva con “basta, non ne posso più”?

FREDDIE: Oh, sì (Roger: ah, continuamente) continuamente…

TOM: E gli altri cercavano di incitarlo dicendo “dai, solo un’altra” o qualcosa del genere?

FREDDIE: Dipende da chi…

ROGER: Tutti eravamo d’accordo di smetterla (risate).

TOM: Ok, ora tocca a Freddie scegliere la musica da mettere. Freddie, cosa mettiamo?

FREDDIE: Ho scelto un brano di Aretha Franklin, “You’ve Got a Friend” tratto dall’album “Amazing Grace”, uscito tanti anni fa, un album doppio. È un gospel che ha registrato tipo in una chiesa in California, e si intitola “You’ve Got a Friend”.

[…“You’ve Got a Friend”…]

TOM: Questa era la scelta di Freddie Mercury, tratta dall’album di Aretha Franklin.

 

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TOM: Radio 1 presenta la seconda parte dell’intervista ai Queen. Nella prima parte del programma, abbiamo coperto lo sviluppo musicale dei Queen dal loro primo album fino a “Bohemian Rhapsody”, brano che ha dominato le classifiche. In questa seconda puntata, parleremo ancora della loro musica, suoneremo brani tratti da “A Night at the Opera”, “A Day at the Races” e “News of the World”. Allora, partiamo dal batterista, Roger Taylor. Ho fatto caso, Roger, che quando non sei impegnato a suonare o incidere con i Queen, ti interessi alle corse di auto e moto, è così?

ROGER: Bhè, più alle macchine, in realtà, non sono molto ferrato di moto. Leggo AutoSport tutte le settimane ma, come puoi ben capire, il nostro è un lavoro a tempo pieno, ci tiene davvero impegnati, e non ho mai tempo per andare alle corse. Mi piacciono solo le macchine, sono interessanti.

TOM: Ma hai mai guidato su un tracciato?

ROGER: Solo una volta, ma è stata una cosa trascurabile, anche ti dà un assaggio di com’è…

TOM: Non starai pensando di affrontare Noel Edmonds giù a Brands Hatch (circuito britannico, NdT)?

ROGER: Oh, buon dio, lo straccerei! (risate)

TOM: Hai sentito, Noel? Ah ah!

BRIAN: Questo prima ancora di salire in macchina…!

ROGER: Sì, prima che salga in macchina.

TOM: Ad ogni modo, ottima imbeccata per “I’m in Love with my Car” di Roger Taylor.

[…“I’m in Love with my Car”…]

TOM: Questa era “I’m in Love with my Car”, tratta da “A Night at the Opera”. John, credo che tu sia molto interessato alla fotografia stereo (John: fotografia stereo, sì), ce ne vuoi parlare?

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JOHN: Mi piacciono semplicemente le cose che uscivano nelle scatole di Weetabix, le due fotografie con il visore, due immagini scattate da posizioni leggermente diverse. Guardavi attraverso un visore speciale ed ottenevi un vero e proprio effetto di prospettiva 3D, e le potevi anche mettere su speciali fotocamere stereo per ottenere immagini tridimensionali.

TOM: Diapositive tridimensionali? Non credo siano cose che possano fare chiunque.

JOHN: Esiste uno strumento… Brian, tu non avevi provato a progettarne uno?

BRIAN: Sì, ma c’è ancora tanta strada da fare. Puoi costruirlo con uno schermo argentato piuttosto che uno schermo bianco, con polarizzazione incrociata. Ci vuole un sacco di lavoro, ma è molto interessante.

ROGER: Perfetto per l’uomo medio (risate).

TOM: Brian…?

BRIAN: Non va molto di moda, al momento. Ha avuto un certo successo come forma di fotografia negli anni ’20 e ’30, ma per qualche sconosciuto motivo è andata fuori moda. Io invece credo sia pazzesca.

TOM: Brian, avrei scommesso che tu fossi interessato anche agli ologrammi e…

BRIAN: Sì, strano a dirsi, ma l’olografia è stata inventata da Dennis Gabor, che era uno dei professori del mio college, l’Imperial College. C’era un corso di olografia, e ne ero molto interessato, anche se non credo si possa applicare ad un concerto rock, a differenza di quello che la gente crede.

TOM: Non credi che riuscireste ad incorporare degli ologrammi nel vostro spettacolo?

BRIAN: Sì, è possibile, ma questa applicazione non è ad uno stadio tale da essere ben utilizzata, al momento. Gli Who hanno davvero fatto gran uso di laser durante i loro show, ma gli ologrammi sono un affare abbastanza rischioso, e produrre cose che abbiamo un certo impatto su larga scala è più difficile di quanto si creda.

TOM: Sono sicuro che in Inghilterra sono molto più avanzati degli Americani, con gli ologrammi.

BRIAN: Mmm, sì, è sorprendente, però… voglio dire, non mi tengo molto aggiornato, ma non credo abbia poi molti progressi su larga scala. A livello ridotto, la produzione commerciale di ologrammi ha fatto notevoli progressi, ma i problemi sono sempre gli stessi: è necessaria una fonte consistente di luce, e c’è bisogno di uno schermo su cui proiettare le immagini, non puoi ancora farle volteggiare in aria.

TOM: Tornando a John, tu suoni le tastiere nel prossimo brano, “You’re my Best Friend”. Come sei riuscito a sottrarre il pianoforte a Freddie?

JOHN: Bhè, a Freddie non piace la tastiera elettrica, così me la sono portata a casa ed ho iniziato a fare esercizio, perché non avevo mai suonato il piano, prima. Fondamentalmente, è una canzone che è venuta fuori mentre imparavo a suonare il piano.

FREDDIE: Mi rifiuto di suonare quella dannata cosa…

TOM: È una questione di principio, o cosa?

FREDDIE: Hanno un suono troppo metallico e sono orribili, non mi piacciono (risate). Perché suonare quella robaccia quando hai a disposizione un eccellente pianoforte a coda? No, quello che John sta cercando di dire è che, in fondo, volevamo solo ottenere un certo tipo di effetto…

JOHN: La canzone è stata scritta su quello strumento, e suona meglio con quello… sai, con lo strumento su cui scrivi una certa canzone.

TOM: Bene, ha raggiunto la settima posizione nel Luglio del ‘76, “You’re my Best Friend”.

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TOM: Bene Brian, veniamo ora al brano che hai scelto tu, anzi credo che invece di averne solo uno, hai scelto metà di un brano e metà di un altro.

BRIAN: Sì, sono un po’ ingordo…

TOM: Dicci quali sono questi brani.

BRIAN: La prima è di Jimi Hendrix, di cui sono sicuro potremmo stare qui a parlare per ore… Vorrei sentire l’inizio di un pezzo intitolato “A House Burning Down”, che secondo me è uno dei migliori attacchi di sempre, un lavoro completo su chitarra, basso e batteria, non ho mai sentito niente del genere.

[…“A House Burning Down”…]

BRIAN: L’altro brano è “And Your Bird Can Sing” dei Beatles, che è allo stesso tempo semplice e meravigliosa. I Beatles ci hanno influenzati molto, sia consciamente che inconsciamente. E questa è una delle cose che mi piacciono di più: una canzone semplice, fatta molto bene, con una doppia sovraincisione di George Harrison, credo che sia George Harrison, che suona delle piccole melodie che girano intorno al cantato. Anche questa è stata un’ispirazione, perché il mio sogno è sempre stato quello di riuscire a fare delle sovraincisioni multiple di chitarra sui miei dischi, ed a quei tempi le sovraincisioni erano praticamente sconosciute. Potrei fare due o tre esempi di lavoro armonico con una chitarra rock, e George Harrison è uno di questi, lui è stato un pioniere, e ci ha dato proprio dentro con questa canzone.

[…“And Your Bird Can Sing”…]

TOM: Queste erano le scelte di Brian: “A House Burning Down” di Jimi Hendrix e “And Your Bird Can Sing” dei Beatles. Parliamo un pò di Jimi Hendrix, ora, perchè so che Jimi Hendrix è stato la forza trainante del gruppo, ha avuto un’enorme influenza su tutti voi, eh Freddie?

FREDDIE: Era un uomo meraviglioso, un grande artista. Che posso dire… è stato un musicista appassionato, per me era tutto, e sono andato ovunque per assistere ai suoi spettacoli, pura magia… Era una gioia per gli occhi vederlo sul palco, voglio dire… lui non aveva tutti gli oggetti di scena che ci sono oggi, la magia proveniva da lui, dalla sua persona, erano solo lui e la chitarra, era molto esuberante. Era un vero spettacolo, ed ho imparato molto da quel genere di cose.

TOM: Roger, quando Jimi è morto, tu eri al lavoro al Kensington Market, giusto?

ROGER: È vero, sì, ma come l’hai scoperto? (Risate)

BRIAN: Sono stato io…

FREDDIE: Abbiamo chiuso il negozio in segno di rispetto.

ROGER: Sì, abbiamo chiuso la nostra bancarella, ce ne siamo andati a casa ed abbiamo dato una festa (Freddie: suonando tutti i suoi dischi), davvero, è stato terribile sapere della sua morte.

TOM: Se non sbaglio, il vostro concerto ad Hyde Park, l’anno scorso, ha coinciso con l’anniversario della morte di Jimi (Roger: sì, è così). Raccontateci un po’ di Hyde Park, come ci siete arrivati?

ROGER: È stata un'idea che ci è venuta mentre eravamo in tour in Giappone: abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa di diverso in Inghilterra, piuttosto che fare lo stesso vecchio tour nei soliti posti, e abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto fare un concerto gratuito, e la location migliore si è rivelata essere Hyde Park, perché è la più centrale. Però è stata una vera fonte di problemi per ottenere i vari permessi, ci è costato una fortuna, ma alla fine ne è valsa la pena, volevevamo fare solo un bel gesto, fare qualcosa senza avere in cambio niente. Tante persone sembrano ancora non rendersi conto che noi non abbiamo preso alcuna percentuale per il concerto.

TOM: Bene, mettiamo ancora un po’ di musica, questa volta tratta da “A Day at the Races”. Si tratta di “Somebody to Love” che ha raggiunto la top ten nel Dicembre del ‘76.

[…“Somebody to Love”…]

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TOM: “You’re my Best Friend” con John che sfreccia sui tasti come una furia. Ed ora passiamo a quel grande argomento che è il marketing di “A Night at the Opera”. È un argomento affascinante: come avete concepito la copertina dell’album, e tutte le altre cose, e com’è andata con il marketing?

FREDDIE: Bhè, la copertina aveva una specie di stemma…

TOM: L’hai disegnata tu, vero?

FREDDIE: Bhè, è un adattamento di uno dei primi stemmi che avevo fatto. È stato fatto da David Costa che ha lavorato insieme a noi, e ci siamo assicurati che fosse come volevamo. Per quanto riguarda il marketing, si tratta di un processo immenso: copre una vasta area di azione, è come abbiamo detto prima: noi lavoriamo sul materiale dell’album e poi scegliamo un singolo. In questo caso, per “A Night at the Opera” è successo che la scelta cadesse su “Bohemian Rhapsody”, e abbiamo fatto un video che l’accompagnasse e che ci ha aiutati molto. Il video l’abbiamo fatto con Bruce Gowers.

JOHN: Sì, abbiamo fatto un video (Freddie: un video promozionale) in un tempo relativamente breve. Poco prima che partissimo con il tour in Inghilterra, quando è uscito il singolo di “Bohemian Rhapsody”, stavamo facendo le prove agli Elstree Studios, e loro arrivano, una sera, con le telecamere e le attrezzature, e l’abbiamo girato in circa 4 ore, giusto?

FREDDIE: Proprio così.

ROGER: Quel video ci ha aperto una nuova strada, perché è stato utilizzato in tutto il mondo, ed ha funzionato davvero bene, voglio dire che non solo ha contribuito a far capire il disco, ma anche a far capire i Queen sia visivamente che a livello uditivo, e ora fa parte a tutti gli effetti del modello di commercializzazione di un singolo, o di una nuova band oggigiorno, o un artista. Credo che ormai sia necessario per fare un disco, e poi per farlo uscire. Oggi non c’è disco senza video, infatti puoi far vedere il video in tutto il mondo, e promuovere i tuoi dischi con esso senza bisogno di essere fisicamente presenti. Ad esempio, penso che gli Abba abbiano tratto grande vantaggio da questo.

TOM: John, quanto profondamente ti fai coinvolgere dal marketing?

JOHN: Noi veniamo coinvolti artisticamente con il prodotto, voglio dire con l’album e la copertina, ed il video, siamo molto coinvolti in tutto questo. Ma per quanto riguarda effettivamente il marketing, molto è lasciato alla casa discografica, a patto che non facciano nulla che sia di cattivo gusto. Insomma, preferiamo tenere sotto controllo quello che fanno.

TOM: Avete mai subito un brutto colpo, qualcosa che non vi aspettavate?

BRIAN: Oh, sì (consenso generale).

FREDDIE: Specialmente ora… ce ne sono così tanti che possiamo mettere i manifesti.

BRIAN: Sì, ci sono state alcune cose davvero brutte, ad esempio in America siamo rimasti scioccati dal fatto che avevano pubblicato “Liar” come secondo singolo, e quando l’abbiamo ascoltato abbiamo scoperto che l’avevano tagliuzzato, avevano tagliato un buon sessanta per cento, ed anche in un modo abbastanza casuale, non l’avevano nemmeno editato bene. È stato fatto uscire come singolo in America, e, naturalmente, è stato un flop, e da allora abbiamo sempre cercato di combattere per il completo controllo artistico in ogni parte del mondo. La prassi normale sarebbe di inviare ai diversi Paesi le copie dei mastertape dell’album finito, e loro poi lo incidono. Ora, nell’incidere un album, che consiste nel metterlo fisicamente sul disco, c’è in teoria una gran quantità di errori che puoi commettere, addirittura rovinare completamente un disco che ci hai messo dei mesi per produrre. Ci sono tornate indietro alcune incisioni da Paesi di cui non eravamo a conoscenza, ed erano terrificanti. È bizzarro: il primo album, in America, è un esempio molto interessante, perché hanno passato il tutto attraverso un limitatore, cioè tutto doveva essere allo stesso livello: tutto viene pompato - loro lo chiamano pumping - quindi se hai una nota continua e sopra un ritmo di batteria, allora la nota continua va su e giù intorno al ritmo della batteria. A volte questo ha migliorato alcune tracce, altre volte le ha peggiorate (risate). È molto strano, dà loro un suono particolare (Roger: sì, abbiamo imparato davvero tanto sulle attività di studio) ascoltandole alla radio americana in FM, e l’abbiamo scoperto quando ci siamo andati, ed abbiamo iniziato ad usare questo effetto negli album successivi. È strano come alcune cose accadano, a volte.

TOM: Mettiamo un altro po’ di musica, Brian mettiamo una delle tue, da “A Night at the Opera”, intitolata “Good Company”, che presenta un ukulele suonato alla George Formby, ed anche un po’ di Trad Jazz. Ti ha mai interessato il Trad Jazz?

BRIAN: Ricordo quando ci fu il boom del Trad Jazz, ed io ero molto appassionato di un gruppo, i Temperance Seven, che facevano una sorta di revival degli arrangiamenti jazz degli anni ’20, e questo è quello che ho cercato di ricreare in questo brano.

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TOM: “Somebody to Love”, con un coro dal sapore gospel. Freddie, questo coro è stato strutturato nello stesso modo di “Bohemian Rhapsody”?

FREDDIE: In un certo senso, sì. Ci sono sempre le stesse tre persone che cantano i cori, ma in questo caso c’è un diverso approccio tecnico, perché qui abbiamo cantato gospel, ed è una cosa diversa. Qui sono io che cerco di fare qualcosa alla Aretha Franklin, ed ho fatto impazzire tutti. Volevo solo scrivere qualcosa di quel tipo, ero rimasto folgorato dall’approccio gospel che lei aveva nei suoi album, nei primi album, anche se potrebbe sembrare lo stesso tipo di approccio, in particolare sulle armonie. Ma in studio è totalmente diverso perché si tratta di un range completamente diverso.

TOM: Veniamo ora a quei posti dove la vostra fama è davvero enorme, ad esempio siete davvero grandi in Giappone. Raccontateci qualcosa.

ROGER: Suona come se ci gonfiamo non appena mettiamo piede lì (risate).

TOM: È tutto quel sake, non è vero? Ok, raccontateci del Giappone. Perché il Giappone? So che Freddie canta in giapponese, è così?

FREDDIE: Non tutte le canzoni…

JOHN: Solo in…

ROGER: Solo in una canzone, che è un omaggio, più che altro.

FREDDIE: Questo è stato successivamente.

ROGER: Vedi, il Giappone ha fatto breccia su di noi fin dall’inizio.

JOHN: “Queen II” è stato l’album che ci ha portato al successo, vero?

ROGER: Sì, e sapevamo che eravamo molto richiesti lì, e così abbiamo ritagliato del tempo alla fine di un tour americano, e dopo una vacanza alle Hawaii ci siamo andati. Quando siamo arrivati all'aeroporto, ci siamo improvvisamente resi conto che era tutto sproporzionato rispetto a quello che avevamo immaginato, perché c'erano migliaia di persone là, venute solo a darci il benvenuto, e di solito non ti viene riservato questo trattamento ovunque. Abbiamo avuto due tour strepitosi in Giappone, sembra che stiamo loro molto a cuore e credo che ci abbiano influenzati in qualche modo, soprattutto Brian.

TOM: E questo ci porta alla prossima domanda: che rapporto avete tra di voi quando non siete sul palco? State sempre insieme oppure ognuno va per la sua strada?

ROGER: Non saprei, è una domanda difficile… Un po’ l’uno, un po’ l’altro.

FREDDIE: In America abbiamo una limousine ciascuno, ed alla fine dello spettacolo ci saliamo sopra ed ognuno fa le sue cose.

BRIAN: Ce ne andiamo ai 4 angoli della città.

TOM: Quindi è così?

FREDDIE: In realtà dipende, ad esempio se c’è un ricevimento, una festa…

ROGER: Sì, dipende (Freddie: vogliamo sentirci liberi). Ci siamo un po’ allontanati, ma non siamo ancora al livello di odiarci l’un l’altro, cosa che invece vedo accadere in altre band.

TOM: Interessante come si adatti al titolo della prossima canzone “Let us Cling Together” (stringiamoci insieme, NdT). Vuoi pronunciarlo tu per me, Freddie?

FREDDIE: Teo Torriatte.

[…“Teo Torriatte”…]

TOM: “Teo Torriatte”: Brian, è una canzone molto riflessiva, in contrasto con la prossima, che è “Tie Your Mother Down”. Come possono esserci due canzoni così opposte nello stesso album?

BRIAN: Non saprei, di solito tendiamo ad essere attratti dagli opposti, se vogliamo metterla così. Se percorriamo una strada in una certa direzione, tendiamo ad andare altrettanto lontano nella direzione opposta. È come se fossimo in una sorta di fase di apprendimento, ancora, in cui vogliamo provare tutto ciò che ci viene in mente. Se arriva una canzone, e ci suggerisce un certo approccio, ad esempio un approccio più riflessivo, allora ok, e, allo stesso tempo, se viene fuori un altro brano che è di genere più pesante, allora seguiremo anche questa strada fino ai suoi estremi. Penso che questo sia uno dei nostri maggiori punti di forza.

FREDDIE: Proprio così, non abbiamo paura di tentare strade diverse. Credo che una delle cose da cui stiamo davvero alla larga sia ripetere sempre la stessa formula.

BRIAN: Il vecchio gioco di luci e ombre, che tutti i migliori gruppi rock hanno avuto sul palco… voglio dire, i gruppi rock che hanno l'impatto maggiore sono coloro che fanno una canzone lenta, e poi radono al suolo tutto quanto con un (Freddie: completamente sconvolgente) con qualcosa in totale contrasto, questo è ciò che mi colpisce. Se qualcuno arriva sul palco e suona a tutto volume blues a dodici battute per tutta la notte, arriverà un momento in cui ci sarà ovviamente un calo, e mi piace anche così. Voglio dire, amo il rock ben suonato, e penso che sia la cosa più difficile da fare, ma il modo migliore non è fare rock and roll tutta la notte, ma fare tutto nel posto giusto.

TOM: Bene, ascoltiamo allora “Tie Your Mother Down”.

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[…“Tie Your Mother Down”…]

TOM: “Tie Your Mother Down” da “A Day at the Races”. Parliamo ora del vostro manager John Reid. È anche il manager di Elton John, non è vero?

JOHN: Sì, è così.

ROGER: Un artista di successo con un buon management. Credo che aver un buon manager sia di vitale importanza.

FREDDIE: Lo è, certamente lo è. Specialmente per una band agli inizi, che ha bisogno di essere guidata ed indirizzata, avere un buon manager è di vitale importanza.

ROGER: Qualcuno che ti tolga le preoccupazioni, almeno quelle che non hanno a che fare con la musica.

FREDDIE: Ma noi siamo un gruppo un po’ difficile da gestire, siamo molto esigenti.

TOM: Approfondiamo un po’ questo argomento: se non sbaglio, ci sono articoli di giornale, non corretti, secondo i quali voi stiate partendo per gli Stati Uniti per motivi fiscali. Roger, come è potuto succedere?

ROGER: Bhè, credo che sia stato per qualcosa che ho detto, ma è stato (risate), le mie parole sono state fraintese, di certo non ho detto saremmo partiti per l'America domani, come è stato scritto sull'articolo, ma è un qualcosa che potremmo fare in futuro, sicuramente non domani, nè il mese prossimo, o quello dopo ancora.

FREDDIE: Ma stiamo per fare un tour in America.

ROGER: Sì, stiamo per andare in tour (Brian: un tour ben pagato), ma non stiamo per lasciare l’Inghilterra, non ancora.

TOM: Capisco, ma loro sinceramente l’hanno intesa in un altro modo, ehm…

JOHN: Come esuli fiscali?

ROGER: Che vogliamo diventare degli esuli fiscali, ecco che cosa c’era scritto nell’articolo.

JOHN: Intendeva che volessimo vivere all’estero, eh?

ROGER: Quello che ho capito io… cioè, si sa, spesso rilasci interviste (e questo è il motivo per cui abbiamo imparato a non farne molte) e quando vai a leggerle pensi: “buon Dio, l’ho detto davvero io?”, e insomma la gente tende a rigirare la frittata, per farti dire quello che vogliono loro. Se si tratta della politica stessa di un giornale, l'articolo risulterà come vogliono loro, o come vuole l'editore, a differenza di quello che voleva dire l'intervistato.

TOM: Di solito, quando qualcuno dice qualcosa che non dovrebbe, fai emettere un’ingiunzione o gli fai causa. Non potreste fare anche voi causa ai giornalisti?

ROGER: Bhè, dipende. Preferisco spaccargli la faccia personalmente ma (risate), ehm… ma finora non mi è stata mai notificata un’ingiunzione, quindi…

TOM: Bhè, sembra proprio un modo di procedere di altri tempi, il che ci porta a (Freddie: oh…) “Good Old Fashioned Loverboy”.

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ROGER: Stucchevole…

[…“Good Old Fashioned Loverboy”…]

TOM: Mi sembra che sul vostro EP ci siano 4 canzoni, eppure è stato messo in vendita al prezzo di un normale singolo. Come mai questa scelta?

ROGER: Sì, volevamo solo far uscire qualcosa che costituisse un buon affare per i fans, e questo EP era inteso come una sorta di compilation degli ultimi quattro album.

TOM: È entrato nella Top 20 nel Giugno del ’77, quindi era forse per celebrare il vostro Giubileo?

ROGER: Non proprio, non credo…

FREDDIE: Io credo che lo fosse… Volevamo qualcosa che uscisse in coincidenza con il tour che stavamo facendo, e dato che al momento non avevamo alcun prodotto nuovo da proporre… perché questa volta abbiamo prima fatto questo tour, poi era previsto che andassimo in studio e registrare un nuovo album, che è “News of the World”. Non viceversa…

TOM: Roger, veniamo ora al brano che hai scelto tu.

ROGER: È stato molto difficile scegliere un solo brano… Tutto quello a cui riuscivo a pensare era un disco che mi ha davvero elettrizzato a suo tempo. È un pezzo di una delle migliori band al mondo, gli Who, è stato il loro secondo hit single e, per quanto riguarda il tipo di produzione che si faceva a quei tempi, è il miglior singolo che io abbia mai sentito, ed è la prima volta che viene fatto uso del feedback su un disco, per quanto possa ricordare. Si intitola “Anyway, Anyhow, Anywhere”.

[…“Anyway, Anyhow, Anywhere”…]

TOM: Questa era “Anyway, Anyhow, Anywhere” degli Who. Il vostro fan club è uno dei più grandi al mondo, e conta 45.000 iscritti. Ed è molto bello da parte vostra che scriviate personalmente delle lettere, che poi vengono fotocopiate. Brian…

BRIAN: Sì, cerchiamo di mantenerci in contatto, pensiamo che sia molto importante mantenere questo genere di scambio.  Credo non sia una cosa facile gestire un fan club, ci sono un sacco di insidie, si può diventare troppo distaccati, o al contrario troppo coinvolti e non fare bene il tuo lavoro. Quindi credo che sia importante che noi ci teniamo in contatto, e le ragazze che lavorano per noi al fan club, e un ragazzo che si occupa della parte organizzativa, si assicurano che ci sia tutto questo, questa sorta di comunicazione nei due sensi. Cerchiamo di mantenere il fan club come un servizio di informazione, che è sostanzialmente il motivo per cui è stato fondato, piuttosto che come un veicolo di promozione, perché penso che molti fan club siano troppo contaminati da questo aspetto: se inizi ad usarlo semplicemente come uno strumento di vendita, il tutto diventa orribile…

TOM: Roger, nell’ultima settimana di Agosto, hai fatto uscire il tuo singolo da solista intitolato “I Wanna Testify”, dove suoni anche tutti gli strumenti. Raccontaci qualcosa.

ROGER: Bhè, non è niente di che… diciamo che tornati dall'America, ci siamo trovati in un periodo di stasi, ed io mi stavo annoiando un po’, non avevo niente da fare. Quindi sono andato in studio con il nostro ingegnere Mike Stone ed ho fatto una versione a cappella di una vecchia canzone dei Parliaments, l’ho solo resa un po’ più rock ed ho fatto tutto da solo, ma era solo un esperimento, l’ho fatto solo per divertimento. Ma questo esperimento si è rivelato leggermente più costoso del previsto, però ad un sacco di gente è piaciuto, così ho pensato di farlo uscire come singolo.

[…“I Wanna Testify”…]

TOM: Eccoci qua, “I Wanna Testify”, una canzone cantata etc etc da Roger Taylor. Ma… ah! Per caso vi ha dato qualche spunto di riflessione per il futuro?

FREDDIE: Dopo 5, 6 album, penso che si siano aperte molte porte davanti a noi, e ci sono tante cose che si possono fare, e noi ci stiamo, come dire… espandendo, e vogliamo fare altre cose.

TOM: Con i vantaggi finanziari che (Freddie: ne è una conseguenza) comporta essere un gruppo pop di successo, ovviamente Freddie, voglio dire… potresti darti al commercio di belle arti…

FREDDIE: Vieni a vedere la mia galleria, loro la chiamano museo, ma…

TOM: Ti è mai passato per la testa… sai, hai mai pensato a tutte le cose che potresti fare con i soldi che hai accumulato?

FREDDIE: Sì, penso che sicuramente si debba investire, almeno questo è quello che dice il mio commercialista: io, di mio, ho avviato una piccola società di produzione, ed ho firmato con un artista che si chiama Peter Straker, quindi questa è una piccola impresa in cui mi sono avventurato, parallelamente ai Queen, che ovviamente rimane la cosa più importante.

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TOM: Veniamo ora al vostro nuovo album.

FREDDIE: Si intitola “News of the World”:

TOM: “News of the World”, sì, e vedo che la prima canzone è “Sheer Heart Attack”. Roger, l’hai scritta tu questa, parlacene un po’.

ROGER: Sicuramente suona vagamente familiare (risate). È stata scritta nella sua essenza, non completamente (Brian: nella sua essenza è fantastico), ai tempi di “Sheer Heart Attack”, ma non avevamo spazio per inserirla in quell’album, inoltre non era finita, e per una serie di motivi non l’abbiamo fatto. Ma ora è tornata a vivere, e ne sono molto soddisfatto, è energia pura, ed è uno dei miei contributi al nuovo album.

[…“Sheer Heart Attack”…]

TOM: Questa era “Sheer Heart Attack”. Veniamo ora ad una canzone di John Deacon, “Spread Your Wings”. John, è da un po’ che non ti sentiamo… dicci qualcosa su “Spread Your Wings”.

JOHN: Fondamentalmente, è solo una delle due canzoni che ho composto quest’anno e che sono riuscito ad infilare nell’album.

ROGER: Infilare è la parola giusta…

TOM: John, ti riesce semplice scrivere canzoni?

JOHN: No, in realtà è abbastanza difficoltoso, anche se va sempre meglio con il tempo che passa. Sai, ho iniziato a scrivere solo da “Sheer Heart Attack”, con un piccolo brano intitolato “Misfire”, ma “Best Friend” è stata la prima vera canzone che ho scritto di una durata accettabile, quindi diciamo che sono ancora alle prime armi, ma sto migliorando.

TOM: Componi alle tastiere?

JOHN: Bhè, pianoforte, chitarra… di solito non compongo al basso. Uso la chitarra acustica o il piano.

TOM: “Spread Your Wings” di John Deacon.

 […“Spread Your Wings”…]

TOM: Prima di avviarci alla conclusione, con i due brani “We Will Rock You” e “We Are the Champions”, Brian, puoi parlarci un po’ di “We Will Rock You”, e poi andremo da Freddie, che è l’autore di “We Are The Champions”. 

BRIAN: Ok, abbiamo due tipi di canzoni corali. “We Will Rock You” è stato un esperimento, è concepita per simulare l'effetto di un pubblico che batte piedi e mani, ed è presente solo il canto e nient'altro, quindi niente basso o batteria o chitarra, niente. La chitarra arriva solo alla fine, e si adegua. Davvero, è una specie di esperimento, e siamo curiosi di vedere cosa succederà sul palcoscenico.

TOM: Posso chiedervi se “News of the World” vi è costato più di “A Night at the Opera” o “A Day at the Races”?

JOHN: Probabilmente di meno…

BRIAN: Potrebbe essere costato di meno, abbiamo speso di meno questa volta, è stata una nostra scelta. Tornavamo da un tour in Europa, cosa che non facevamo da molto tempo, in effetti abbiamo snobbato l’Europa fino all’anno scorso, ed abbiamo quindi fatto un tour come si deve, e quando siamo tornati avevamo poco tempo per completare l’album.

ROGER: È come un nuovo inizio, perché è risultato un album più spontaneo.

TOM: Ok, Freddie: “We Are The Champions”. So che lo siete, ma raccontaci qualcosa della canzone.

FREDDIE: È la canzone più egoista ed arrogante che abbia mai scritto (risate, poi una pernacchia).

TOM: Ha per caso avuto una qualche influenza da parte di Elton John ed il Watford (squadra di calcio inglese, NdT), o…?

FREDDIE: Ma no…

BRIAN: È successa una cosa interessante, vale la pena di raccontarla: uno dei migliori concerti che abbiamo fatto durante l'ultimo tour in Gran Bretagna è stato a Bingley, una location nuova per noi (Freddie: Bingley Hall). Abbiamo fatto il bis e poi ce ne siamo andati ed il pubblico, invece di continuare ad applaudire, ha cantato “You’ll Never Walk Alone” (inno della squadra di calcio del Liverpool, NdT) e la cosa ci ha presi completamente alla sprovvista, ed è stata un’esperienza molto emozionante, e credo fermamente che questi canti corali siano in qualche modo connessi a questo tipo di sensazione.

TOM: Bene, signori, non mi rimane altro che augurarvi un 1978 pieno di successi, e grazie per esser stati con noi.

ROGER: Grazie.

FREDDIE: Grazie mille.

BRIAN: Grazie tante.

FREDDIE: Grazie.

ROGER: Grazie Tom.

[…“We Will Rock You”…]

[…“We Are the Champions”…]

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